Pubblicato in: 2020, Fantascienza, Spin-Off

Memorie da Sabbie Cosmiche

Dopo lunga e ponderata riflessione (e tanto tempo perso in mille rivoli) mi decido a pubblicare qui una piccola antologia di fantascienza a carattere duniano. Una mia piccola raccolta realizzata con l’accorpamento di alcuni racconti ‘duniani’ realizzati nel corso di alcuni anni, riuniti e pubblicati nel nuovo anno duniano in occasione dell’uscita del nuovo remake di “DUNE” di Denis Villeneuve.
Naturalmente sono solo raccontini di un ‘vecchio’ fan dai lontani tempi del mai dimenticato portale di Dune-Italia e del suo fantastico forum.
Comunque, bando alle ciance e Buona Speziata Lettura.
E ricordate: The Spice Must Flow.

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MEMORIE DA SABBIE COSMICHE

Piccola Antologia Speziata Omaggiante il Duniverso di Frank P. Herbert

Di Pierriccardo F. Ferreri
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Primo racconto…..: La Grande Nettezza
Secondo racconto…: Venti Alieni
Terzo racconto…..: Il Narrante Errante
Quarto racconto….: La Sesta Sosta
Quinto racconto….: Crossing Storm
Sesto racconto…..: Attraverso

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PRIMO RACCONTO

La Grande Nettezza

Nell’ultimo decennio del violento periodo bellico di ben novantatre anni in cui imperversò la Grande Rivolta contro le Macchine Senzienti, la dicotomia pro-umani contro anti-umani raggiunse la sua massima estremizzazione, causando generalizzazioni sommarie ai danni di coloro che cercavano di salvare le memorie e i ricordi di poche vite, di pochi popoli, di pochi mondi dalle tenebre dell’oblio a cui erano condannati in seguito alle conquiste predatrici dei guerrieri della Guerra Santa Butleriana, la jihad voluta dal fondatore della rivolta anti-macchine Samuel Butler e sua figlia Joanna.
L’obiettivo iniziale dei precetti della BCO (Bibbia Cattolica Orangista), il più importante dei quali era “Non sfigurare l’Anima Umana”, fu stravolto. Invece di contenere e neutralizzare l’avanzata invasiva dei robosenzienti e non subire il loro sterminio (come avvenne su alcuni mondi conquistati da PAN-NET e dai suoi Solutori) i Butleriani ordinarono la demolizione totale e indiscriminata di tutte le infrastrutture computerizzate sui pianeti conquistati. Nessuno poteva possedere apparecchi computerizzati o automatismi non autorizzati, pena la confisca dei beni o la morte. Alle proscrizioni dei Butleriani la gente reagì in principio con la violenza, ma poi, accorgendosi che non potevano nulla contro la feroce follia dei fondamentalisti tecnofobi, dovettero abbandonare gli edifici da cui avevano tolto i segni dell’ “adorazione pagana per le macchine”, cercando in tutti i modi di salvare i computer e gli archivi mobili, nascondendoli nelle grotte, sotto terra, in qualunque luogo nascosto; cosicché furono, poi, ritrovate vere e proprie necropoli di computer, perfino decenni dopo la fine della conquista devastatrice del Jihad Butleriano. Il clima di terrore che stringeva in un’unica, inesorabile morsa, l’intera umanità tecnologica generò la nascita di superstizioni e false credenze, per cui le macchine e la scienza proibita avevano dato luogo al “castigo divino” che affliggeva tutti loro.
Nessuno avrebbe mai sfidato apertamente i divieti del Jihad Butleriano.
L’era dei computer e delle macchine pensanti era definitivamente e violentemente finita.
Tutto ciò che era contrario ai diktat dei fautori del Jihad Butleriano doveva essere distrutto, non solo le macchine proibite, ma anche i libri e i documenti che fossero stati giudicati come “non-allineati” con il pensiero dei Jihadisti Butleriani. Una delle più autorevoli testimonianze su questi fatti in particolare è quella del Dott. Dawud Temistocles Imberagulius, Bibliotecario Generale degli Archivi Capitolari di Narrad VI nel corso dell’anno 98 Ante Gilda: “Gli scaffali giacciono infranti a terra ricoperti di macerie; i terminali selvaggiamente distrutti sono utilizzati come orinatoi, mentre gli archivi magnetici sono stati irrimediabilmente danneggiati e dati parzialmente alle fiamme. Le memorie a lettura laser hanno invece subito danni minori, ma i dispositivi di lettura adatti sono fuori uso. Inutile aggiungere che tutti i supporti cartacei conosciuti come ‘libri’ sono stati ridotti in cenere. L’Anima mia piange desolata”.
La storia di interi popoli e pianeti venne cancellata per sempre dalla memoria dell’umanità con la distruzione degli archivi sia computerizzati che stampati. Quel poco che sopravvisse dei dati andati distrutti nello Jihad Butleriano costituì la fragile e incompleta base sulla quale gli storiografi degli ultimi diecimila anni hanno fondato i loro lavori di ricerca, fino ad oggi.

“La Conoscenza va preservata, in tutte le sue forme. Perché essa è come la Vita, persa quella non sei più nulla e come tale sei rimodellabile come nuova creta nelle mani del primo vasaio.”
— Sua Antica Saggezza, Venerabile Padre Fharjid Ibn Seyefa al-Uzzah.

Con queste parole scolpite nel cuore, una nutrita schiera di Nomadi Stellari Zensunni, Zensufi, Buddislamici, Cristorangisti, Dualisti Zoroastriani e molti altri appartenenti ad altre confessioni di frangie illuminate, si riunì in una Congregazione segreta denominata “Preservatio Scientiae” dove, col termine “scienza” si intendeva l’intero Scibile Umano in senso lato.
Guidati dal zensufita Padre Fharjid viaggiarono in lungo e in largo per svariati sistemi stellari, a volte sulla scia di distruzione delle orde dei fanatici Butleriani, recuperando il poco che era rimasto, altre volte anticipandole e portando in salvo tutto il materiale che riuscivano a raccogliere (Bobine Shiga, Memorizzatori Riduliani, Dictatel Perthiani, Elaboratori Laser a Memoria Quantistica, Analizzatori Euristici Multilivello e libri, centinaia di migliaia e migliaia di preziosissimi libri in diversi tipi di carta), tutto caricato nelle loro sgangherate navi-cargo multi-rattoppate, ma sempre efficienti, e, fra mille precauzioni, diretti verso un sistema stellare agli estremi confini del Braccio Galattico del Sagittario. Un pianeta nascosto che è rimasto leggendario nell’immaginario popolare, come una sorta di “Tortuga” degli antichissimi pirati della Vecchia Terra, un pianeta-santuario (lo storico Ingsley lo avrebbe identificato con l’antico “Leybovjtz”, unico pianeta di Theta Sagittarii B, ma non è mai stato comprovato) celato dietro una spessa Nube interstellare, il quale ospitava la sede di questa Congregazione. Qui, questi particolari Nomadi Stellari (chiamati anche “fharidiani”) depositavano e conservavano in immense gallerie che percorrevano come un’enorme ragnatela tutto il sottosuolo del pianeta, tutto il materiale sfuggito all’annientamento della furia butleriana.
Dopo la fine dei novantatre anni di guerra anti-macchine, molto lentamente, ma progressivamente, piccole gocce di conoscenza trapelavano da quel lontanissimo mondo-biblioteca, dando inizio, con piccole pillole di sapere, all’apparenza intuitiva, alla rinascita del Sapere Umano e favorendo la costituzione delle Scuole Mentali (Mentat, Bene Gesserit, Suk, Gilda Spaziale, ecc), nella nuova società medievaleggiante che si andava formando.

Qui di seguito viene citato un estratto di una cronaca risalente attorno all’anno 107 Ante Gilda, riportata e conservata nel tempo su diversi supporti di memoria, sia elettronici, sia cartacei, sia orali. Gli analisti sono concordi nel ritenere che questo estratto sia un evento accaduto durante le ultime fasi della Guerra Santa Butleriana (G.S.B.), anche se ancora persistono opinioni contrastanti su come possa essere giunto sino a noi il resoconto di un aspetto della Storia ritenuto da molti del tutto leggendario e mitologico.

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… — Non essere sciocco Markjs! Se il Fratello Comandante ci ha portati in questo settore di spazio, è chiaro che ha dei buoni motivi che avvalorano la nostra ricerca dei ribelli.

Fratello Markjs sollevò lo sguardo dal visore del Rilevatore Cartografico Stellare con uno sbuffo d’impazienza -– Certo, Fratello Brianus, lungi da me mettere in dubbio le infallibili analisi investigative del nostro Fratello Kevinos, ma ammetterai che siamo fuori di parecchi parsec dai confini dello sfilacciato Impero dei Diecimila Mondi e, per quanto possano essere dannatamente furbi quei luridi traditori dei Filo-Computatori, trovarli qui, praticamente in mezzo al nulla, significherebbe scovare il classico ago nel pagliaio…

Brianus regolò alcuni sensori direzionali – Avresti ragione se ci muovessimo alla cieca, mentre il Fratello Comandante Kevinos ha ricevuto delle informazioni attendibili su un più che probabile scambio di materiale proibito, proprio a queste coordinate in cui ci stiamo muovendo.

Markjs si agitò sulla poltroncina. – Sì, lo so! Sono settimane che viaggiamo senza sosta all’inseguimento di uno scout automatico intercettato fortunosamente dai sensori a lungo raggio della nostra “Gloria Orangista”, distaccarci dal Convoglio “Santa Jeanna”, per portarci ai confini esterni d’un sistema solare privo di vita, galleggiando da giorni nel mezzo d’uno sterminato campo d’asteroidi la cui sfera complessiva è il triplo della Nube di Oort del Sistema Solare della Vecchia Terra. Sarei di certo più contento e motivato nel sapere che cosa cercare in mezzo a questa desolazione.

Brianus alzò le braccia e si stiracchiò come un gatto. – Beh, sono certo che il Fratello Comandante ci darà i ragguagli finali al momento opportuno. Intanto abbiamo il nostro piccolo scout che, da almeno una ventina di minuti, è entrato in un’orbita ellittica retrograda di nove chilometri di diametro circa, attorno a quell’asteroide argentato dalla curiosa forma di topo acquattato. E’ chiaro che quell’ammasso di roccia e ghiaccio sia il luogo d’incontro da loro designato.

Markjs diede una zoomata verso lo scout automatico. – Sarà, ma io non capisco il senso di questa manovra. Se questa palla metallica tira fuori qualche antenna o altro dispositivo simile, e mandasse segnali abbastanza potenti da farsi rilevare, potrebbe stare tranquillamente ferma in attesa sullo zenith dell’asteroide, no…?

Brianus alzò gli occhi al cielo. – Già e magari farsi scoprire da eventuali nemici, mandando in malora l’intera missione? No, muovendosi in questo modo, agli occhi (e sensori) di chi non sa, appare come un semplice corpuscolo fra i miriadi che orbitano qui, e al contempo, attira l’attenzione di chi è inviato per lo scambio…

Markjs annuì sbuffando, — Di materiale proibito dai Santi Precetti Butleriani. Uff, questa attesa mi sta snervando.

In quell’istante entrò il comandante della “Gloria Orangista”, il Capitano Andrej Kevinos, riprendendo bonariamente il suo sottoposto, si sedette sulla sua poltrona di comando. – Tranquillizzati, Fratello Navigatore Markjs, la tua e la nostra attesa sta per terminare. Le rivelazioni ottenute dai prigionieri programmiti, in cambio della loro “spontanea” conversione, ci hanno portati in questa zona stellare del Braccio Galattico del Sagittario, presso questa stella ignota e, come vedi, abbiamo trovato il “Topo Argentato” sul quale avvengono i loro scambi sacrileghi. Presto avremo i ribelli sotto tiro e li cattureremo per convertirli o per eliminarli, annientando le loro blasfeme sconcezze tecnologiche e costringendoli a rivelarci il loro eretico nascondiglio. Nessun ribelle traditore della Specie Umana ha il diritto di vivere dopo che ha contaminato la sua anima con l’orrore nefasto delle Macchine Senzienti, che siano sempre maledette!

I due Navigatori s’alzarono come un sol uomo verso il loro comandante e, con la mano aperta sul petto, intonarono in coro, — Per la Gloria Butleriana vinca sempre l’Anima Umana!

Quasi in risposta al loro grido di sfida, una serie di “ping” risuonarono dalle consolle di comando dei Navigatori. –- I sensori a medio raggio stanno segnalando degli oggetti in avvicinamento verso l’asteroide, Fratello Comandante! – annunciò Markjs tutto eccitato.

Kevinos si risedette sulla sua poltrona e concentrò la sua attenzione sullo schermo principale, — Molto bene. Spegnete tutti i sistemi operativi tranne il Supporto Vitale e mantenete attivo il TOM (Telescopio Ottico Manuale). Non li dobbiamo assolutamente perdere di vista.

Per alcuni minuti non accadde nulla, poi, da diverse direzioni dello spazio, sopraggiunsero nei pressi dell’asteroide, quasi alla spicciolata, una decina di altre sfere metalliche uguali al Primo Scout, depositandosi delicatamente sulla superficie ghiacciata del corpo celeste.
Poco dopo, come un’improvvisa grandinata al rallentatore, altre centinaia di sfere metalliche piovvero sul “Topo Argentato”, molte delle quali, però, rimasero in orbita ad una certa distanza.
A bordo della “Gloria Orangista” i tre butleriani osservavano straniti l’incomprensibile comportamento di questi piccoli robot sferoidali, alcuni dei quali sembravano imitare il Primo Scout, effettuando delle orbite sempre più larghe come se stessero pattugliando le zone di spazio adiacenti l’asteroide. Tre paia d’occhi umani colsero d’un tratto una serie di deboli luccichii provenire dalla sinistra del loro schermo principale. Grazie al potente teleobiettivo del loro TOM, i cacciatori butleriani rilevarono la presenza di un’astronave lunga, tozza, bulbosa e irta di antenne come un istrice, in lento avvicinamento a velocità decelerante.
Giunta a distanza di pochi chilometri dal “Topo Argentato”, da una fiancata del velivolo spaziale s’aprì un portellone scorrevole e fuoriuscì una sorta di lungo cordone nero che si srotolò fino a raggiungere la superficie asteroidale, dove s’erano ammassate diverse centinaia di sfere metalliche. Quindi il cavo si tese e s’illuminò di tanti punti equidistanti, creando una sorta di sentiero nello spazio. Un attimo dopo, le sfere metalliche s’inoltrarono in fila indiana su questo sentiero filiforme per entrare nella stiva dell’astronave.

Quasi sconvolto dallo stupore della sorpresa, il Fratello Comandante sussurrò esterrefatto, — Per i Santi Precetti di Samuel Butler! Stento a credere ai miei occhi… pensavo, come molti, che “loro” fossero nulla di più che una leggenda e invece, eccoci di fronte ad una delle peggiori feccie dei traditori programmiti, miserabili raccattatori d’immondizia cibernetica per poterla riassemblare e riportare in vita il nostro mortale Nemico! Inoltre, noto che non stanno effettuando uno scambio, ma ritirando una consegna… maledetti Fharidjani e chi li appoggia!

Kevinos assunse il tono del comando. – Brianus, Markjs! Riattivate tutti i sistemi e armate i cannoni laser, puntandoli ai loro motori. Non devono sfuggire alla santa giustizia di Fratello Butler!

Nello stesso istante in cui si riaccese la “Gloria Orangista”, tutte le sfere metalliche che orbitavano in cerchi concentrici intorno al “Topo Argentato” estromisero in sincronia tante piccole antennine nere, facendole assomigliare a dei ricci di mare.

Con lo sguardo che s’alternava tra lo schermo principale e la consolle di navigazione, Brianus annunciò. — Cannoni laser armati, signore, e collimati sul bersaglio.

Kevinos si sentiva invadere dal familiare flusso di adrenalina che precedeva ogni scontro bellico e rispose. – Bene. Pronti al fuoco al mio ordine.

Markjs interloquì con tono dubbioso. – Signore? Rilevo dei dati anomali… — disse, osservando i diagrammi luminosi sugli schermi della sua consolle.

Ma il Comandante Kevinos era ormai lanciato. – Non ora, Fratello Navigatore. Si compia la Giustizia di Butler. Fuoco di tre secondi!

Due scie giallastre di energia radiante concentrata, scoccarono parallele dalla prua della sua astronave, santificata da mille battaglie nel Verbo di Butler e della BCO, coprire in poche frazioni di secondo la distanza di poche migliaia di km verso l’asteroide ed aprire un fiore di fuoco purificatore nella Sala Macchine della nave dei Fharidjani, ponendo fine ad ogni loro velleità sacrilega.

Ma tutto ciò accadeva nella sua mente.

Il tono quasi lamentoso di Markjs fu quasi coperto dal grido di rabbia di Brianus. – Fratello Comandante, i sistemi d’arma sono bloccati da un flusso di interferenze di natura pseudo-elettromagnetica che, se rafforzati, possono inibire perfino il nostro Supporto Vitale. Siamo bloccati. E inermi.

Kevinos sbattè le palpebre più volte, come strappato da un vivido sogno e si avvicinò al quadro comandi del Navigatore per cercare una smentita alle affermazioni disfattiste del suo sottoposto. – Le sfere metalliche… ora capisco… hanno creato un gigantesco scudo di protezione sull’intera zona di spazio dell’asteroide… ma, anche se utilizzano i flussi di energia per collegarsi fra loro tramite le loro antenne, non possono, al contempo inibirla su altre navi, direzionandola appositamente verso una data zona di spazio.

Brianus, ancora fremente per lo smacco subito, pensò a voce alta. – Forse hanno dei complici…

Il volto di Kevinos sbiancò di fronte a una rivelazione vergognosamente lapalissiana: — Maledizione, hai ragione… attiva le telecamere ventrali, dorsali e laterali, voglio vedere le nostre immediate vicinanze nello spazio…

Le dita di Brianus volarono sui comandi e di lì a poco sullo schermo principale comparvero diversi quadrati, ognuno dei quali riportava le immagini esterne delle telecamere della nave.

La TDP-2 (Telecamera Dorsale di Poppa) inviò l’immagine di una zona di spazio ricca di tanti puntini bianchi quanti erano i miriadi pezzi di roccia ghiacciata che rilucevano di luce solare riflessa.
Tranne al centro.
Una vistosa macchia scura delle dimensioni di una mano alla distanza di due braccia rivelava l’inequivocabile presenza di un’altra astronave.

Le mani di Kevinos erano scosse da tremori d’ira repressa a stento: — Aumenta l’ingrandimento…

La macchia scura si precipitò verso di loro, rivelando particolari praticamente identici all’astronave dei Fharidjani che stava per completare le operazioni di carico dal “Topo Argentato”. Stessa lunghezza, stesse protuberanze, stessa selva di antenne che rendevano quasi irsuto il suo scafo. – Dunque c’è del vero nelle False Credenze dei popoli soggiogati. – bisbigliò attonito Kevinos, — I “Salvatori di Biblioteche”, i “Conservatori dello Scibile Umano”, i “Nomadi dei Libri”, i “Salva Memorie”… viaggiano sempre in coppia, mentre l’uno è impegnato in un’operazione di recupero, l’altra controparte sorveglia e protegge tale atto.

Markjs, che ancora non riusciva a capacitarsi dell’esistenza di quella bolla energetica creata dalle robo-sfere, chiese: — Ma come hanno fatto a realizzare una simile difesa?

Brianus aggiunse in coda: — Ho sentito dire di nuove teorie rivoluzionarie da diversi ingegneri, ma non gli ho dato molto credito. Mi sono sbagliato, Fratello Comandante?

Kevinos si sentiva svuotato, non aveva mai subito una sconfitta così bruciante, completamente immobilizzato e costretto ad assistere impotente ad un atto così nefando che la sua empietà lo avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni. Si sedette sconsolato sulla sua poltrona, borbottando, — Da diverso tempo circolano le teorie fisico-matematiche (e tenute segrete dai Fratelli Ministri) di un uomo che definire “genio” è riduttivo, e si basano su una nuova concezione vibrazionale della materia, immaginata come energia condensata, che può essere manipolata e utilizzata, modificando determinate scale di valori armonici. Lo scudo che abbiamo visto delle robo-sfere e le interferenze della nave fharidjana che ci sovrasta, sono i risultati concreti dell’applicazione del cosiddetto “Effetto Holtzman”. E’ più che plausibile che i fharidjani ne siano venuti a conoscenza durante le periodiche apparizioni della Cometa Holtzman e ne abbiano studiato le caratteristiche, arrivando a progettare e realizzare i primi prototipi.
Ma, a mio avviso, ormai sono giunti troppo tardi per sovvertire le sorti della Causa Butleriana, in quanto tutti i mondi dell’Impero…

L’estratto recuperato s’interrompe qui, lasciandoci in sospeso circa la sorte di questi tre uomini che, possiamo supporre, siano rimasti immobilizzati fino ad operazioni ultimate e poi lasciati liberi di tornarsene al loro Convoglio di “Santa Jeanna”.
Una nota a margine del documento, in carta di quarzite tebana (la più resistente finora riscontrata), ci informa, con un codice alfanumerico semicancellato, che i primi dati erano stati registrati dalla stessa astronave che ha tenuto prigionieri per breve tempo i tre butleriani, ed archiviati in un supporto elettronico denominato TIM (Terabyte Interactive Microlibraries) della Clarke Foundation, Lanka Regnum, Vecchia Terra.

(Sudraq al-Saliq
1.03.2014—h—23.23 – 14.186 Ante Gilda)


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SECONDO RACCONTO

VENTI ALIENI

Da un estratto su Filo Shiga di quinta generazione di un resoconto orale registrato su due bobine positroniche, di un rapporto redatto su un antico supporto cartaceo plastificato denominato “Diario Di Bordo”, risalente al 107 – 110 Ante Gilda (A.G.) circa, verosimilmente verso la fine della Grande Rivolta Butleriana.
Questo documento d’inestimabile valore storico è stato rinvenuto dalla XII Squadra Archeologica operante per conto dell’Istituto di Ricerche Storiche dell’Università di Tupile IV, nell’ambito del “Progetto Enciclopedia Universale” finanziato dal Ministero delle Risorse Interculturali e sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Pluriconfederata delle Nove Galassie Umane.
Tale rapporto getta un’ulteriore luce conoscitiva sulle ancora oscure e difficilmente dipanabili origini dell’antico pianeta di Ar-Raqis, conosciuto un tempo come Dune.
Il reperto, insieme ad altri interessanti manufatti, è stato rinvenuto, a diverse decine di metri di profondità, in una cavità a tenuta stagna adiacente ad una delle prime e numerose (250 circa) Basi Botaniche/Avamposti Imperiali che erano state sigillate, occultate ed abbandonate dopo la caduta, storicamente accertata, dell’Imperatore Shaddam IV Corrino, e che servirono alle prime squadre imperiali di botanici ed ecologi come supporto logistico per le loro prime esplorazioni del pianeta.

Costoro non sapevano che già in tempi più antichi, qualcun’altro li precedette…

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Terzo mese di permanenza forzata su questa maledetta palla di sabbia.
E quarta settimana di venti continui che sollevano una onnipresente polvere impalpabile che s’intrufola dappertutto, fin dentro le ossa, fin dentro l’anima.
Stamattina sono uscito per il mio solito giro ispettivo per controllare lo stato d’efficienza dei Rotori Eolici, grazie ai quali la nostra astronave accumula energia per mantenersi attiva.
Astronave… beh, ormai sarebbe più corretto definirla “relitto”, con funzioni di base logistica ed avamposto per altri che verranno. Ho già fatto mandare degli impulsi neutrinici criptati con le nostre coordinate stellari verso i nostri Compagni Programmisti del Convoglio Holtzman, da cui ci siamo dovuti separare in seguito ad un violento attacco di bastardi butleriani assatanati.
Pazzi, pazzi totali: si gettavano con i loro caccia carichi di bombe al plasma contro le nostre postazioni computerizzate, annientando uomini e macchine. Siamo riusciti con grande difficoltà a giungere qui, cercando di trascinarli dietro come esca… in parte hanno abboccato, ma le loro squadriglie si sono rivelate più tenaci del previsto.
A stento siamo riusciti ad avere ragione di loro e a massacrarli tutti.
Ma i danni riportati da noi erano superiori alle capacità auto-rigeneranti del CC (Computer Core) Primario della nostra Ammiraglia e abbiamo dovuto effettuare un atterraggio di fortuna nei pressi d’una catena montuosa dell’emisfero settentrionale di questo maledetto grumo polveroso!

Polvere, polvere ovunque, ad insidiare incessantemente i delicati meccanismi dei nostri fedeli aiutanti cibernetici e positronici.
Curioso quanto sia sottilmente paradossale ed ironico il destino del progresso umano: nell’antichità si usavano i mulini a vento per facilitare i lavori nei campi coltivati e nelle varie attività agricole. Poi sopraggiunse l’era dei combustibili, utilizzando il carbone, il gas e il petrolio; quindi si passò all’energia nucleare e solare, rivoluzionando tutto.
Ed ora, dopo millenni, siamo costretti a ritornare all’uso del vento come fonte d’energia per le riparazioni più urgenti alle nostre strutture gravemente danneggiate nell’attesa di ripristinare un quantitativo sufficiente di celle solari. E con queste in funzione terminerà anche la costante seccatura di tutti questi dannati pipistrelli che non trovano altro da fare che andare a sfracellarsi sulle pale dei nostri mulini a vento di fortuna. Da almeno due o tre giorni a questa parte, poi, parrebbe il loro sport preferito, quello di suicidarsi contro i Rotori Eolici, in barba a quello che sembrava essere il loro prodigioso sistema di orientamento.

Sicuramente per un biologo si rivelerebbe un campo di grande interesse questo curioso comportamento e tenderebbe a cercare di capire come fanno questi strani pipistrelli desertici a dominare venti costanti di 70 km orari.
Ma io non sono un biologo o un ecologo che tenta di capire le bizzarrie di un pianeta.
Sono solamente il comandante di un gruppo di Programmisti sopravvissuti a stento ad un attacco suicida di estremisti Butleriani e m’importa relativamente poco di questi stupidi animali.

All’interno della “Liesco II” le operazioni di riparazione proseguono senza sosta. Scambio due chiacchiere col mio Vice Herbius sulle ultime novità dai sensori esterni a lungo raggio, ma questi mi rassicura che non vi sono rilevazioni di alcun tipo o arrivo di rinforzi, né da parte amica, né da parte nemica.
Ma un piccolo tarlo insidioso ci tormenta entrambi nel fondo della nostra coscienza: poco prima di morire in una palla di fuoco, un fanatico butleriano ci urlò nell’intercom che il pianeta sul quale stavamo per scendere avrebbe completato la loro missione di annientarci, quindi una sghignazzata isterica lo accompagnò nella sua scia di fuoco nell’atmosfera planetaria.
Cercai di tranquillizzare il mio Vice, dicendogli che con la nostra alta tecnologia abbiamo affrontato senza incidenti di sorta qualunque ostacolo ci sia stato parato davanti e così sarebbe stato in futuro.

Trascorsero altre dieci ore circa di precisi e laboriosi turni lavorativi in un’altra giornata priva di significato, quando, verso il crepuscolo, alla 19ma ora standard del CDP (Ciclo Diurno Planetario), Herbius mi manda sul mio palmare un’immagine sulla IntraNet, la rete telematica interna della nave.
Una telecamera a infrarossi ha ripreso una fugace sequenza dell’attività alimentare dei pipistrelli, i quali erano intenti nel dar la caccia, svolazzando in ardite acrobazie nel vento notturno, a piccoli insetti a forma di losanga di cui sembravano esserne piuttosto ghiotti.
In condizioni normali avrei cancellato quell’immagine come una fastidiosa interferenza nel nostro ciclo lavorativo, ma, sia io che Herbius, sapevamo che ciò stava a significare l’arrivo di un’altra bufera di vento e sabbia di oltre 90 km orari, che avrebbe potuto danneggiare alcune apparecchiature ancora esposte ai venti esterni.
Per cui gli dò l’ordine di comporre una squadra di 4 tecnici ed uscire fuori per mettere al riparo le apparecchiature dentro la nave.

Nel frattempo i valori eolici aumentano di minuto in minuto, avvicinandosi pericolosamente sempre più verso i 100 km orari, e se avessimo atteso ancora, avremmo rischiato di portare al sovraccarico gli accumulatori d’energia con conseguente collasso del sistema generale.
Ordino a Brianus, il Capo Tecnico, d’interrompere tutti i flussi d’entrata e d’uscita della nave verso i Rotori Eolici, le cui pale già vorticavano a velocità vertiginosa.
Contatto Herbius, ordinandogli di rientrare subito perchè la velocità del vento in poco tempo ha raggiunto il picco previsto di 110 km orari, come da altre bufere precedenti, per cui non è più possibile operare lì fuori in nessuna condizione di sicurezza.
Con alcune parole smozzicate dalle scariche statiche, Herbius mi conferma il suo rientro e che da lì a 3 minuti avrebbe guadagnato il portello d’entrata.
Quale non fu la mia orripilata sorpresa nel leggere i valori eolici saltare da 112 a 220 km orari nel giro di pochi secondi e vedere, impotente sul monitor del circuito esterno, i miei compagni a pochi metri dall’ingresso, letteralmente lapidati a morte da micidiali raffiche di pietre sbucate dal nulla.
Il suolo del deserto parve di colpo assumere vita propria, sollevandosi in un turbinante vortice di miriadi di sassi, sabbia, ciottoli e pietre d’ogni forma e… dimensione!
Per il Genio di Holtzman!!
I sensori ci segnalano l’avvicinarsi di massi giganteschi di decine di tonnellate che rotolano inarrestabili verso di noi!
Urlo, sopra il fracasso delle paratie flagellate dal vento desertico, a Brianus di attivare l’Allarme Rosso!
Forse quei maledetti butleriani hanno escogitato un modo per controllare il clima del pianeta e vogliono spazzarci via così! Ma non ci riusciranno!
Faccio alzare gli Scudi tutt’intorno alla nave, rinforzandoli sul fronte della bufera la cui velocità ha raggiunto i 303 km orari.
Sento il familiare ronzio (più che sentirlo, lo percepisco dalle vibrazioni) dei Campi di Forza Holtzman coprire come un manto protettivo tutta la nave e mi accingo ad osservare l’impatto imminente sui monitor esterni, quando un violento fracasso ed un improvviso buio mi gela fin dentro le viscere.
Attivo il circuito d’emergenza ed osservo con terrore che i Rotori Eolici, alti 10 metri, sono stati abbattuti come fuscelli da diversi massi di alcuni quintali caduti dall’alto!
L’energia è interrotta, gli accumulatori sono sovraccarichi e il sistema è bloccato. Siamo senza difese!
L’indicatore eolico segnala un nuovo picco di 360 km orari e con inerte indifferenza osservo sullo schermo numero 4 l’arrivo impressionante di due colossali massi di decine di metri di diametro, staccatisi dalla vicina catena montuosa, in procinto di avventarsi su di noi.
E’ la fine, tra pochi istanti verremo schiacciati come insetti sotto i piedi d’un gigante…

Di colpo, il silenzio.

Un silenzio totale, quasi innaturale, perfino assordante per la sua brutale e immediata mancanza di suono.
E’ questa la morte? Ho i miei dubbi… e se ho dei dubbi sono ancora in grado di pensare… e se penso, ergo esisto!
Dunque sono vivo, siamo ancora vivi, ma a che prezzo.
Il vento era caduto, improvviso come era apparso, svanito come un terribile incubo notturno, ma c’erano i due enormi ed alti macigni la cui sagoma minacciosa si stagliava a pochi metri dalla nave a confermarci della realtà dell’evento.
Abbiamo subìto danni sul 57% delle strutture complessive, ci vorrà un pò più di tempo, ma sono tutte riparabili, incominciando a riassemblare dei nuovi Rotori Eolici con una discreta facilità.
E, soprattutto, rinforzeremo tutte le strutture esterne per le prossime bufere come questa.
Purtroppo la perdita di cinque Compagni di Viaggio non è rimpiazzabile né riparabile e questo peso me lo porterò sempre addosso.
Ma c’è una cosa che mi lascia perplesso nella dinamica di questo clima pazzesco, ovvero la frequenza quasi millimetrica delle bufere che sono avvenute ogni 2 settimane e che non hanno mai sviluppato, da quando siamo qui, una velocità di oltre i 110 km orari, causando danni quasi inesistenti.
Adesso si è sviluppato questo mostruoso uragano che a momenti ci annientava, per poi ridursi di botto a un lieve venticello di appena 9 km orari.
Ah, come vorrei sentire il parere di un climatologo!
Forse è possibile che si tratti di un cambio di stagione, per cui le masse d’aria perturbata, una volta esauritasi la loro energia, si siano spostate nell’altro emisfero del pianeta, e che il prossimo mezzo anno dovremmo stare abbastanza tranquilli.
Sì, dev’essere così, anche perchè ho notato con piacevole sollievo che di pipistrelli non ne ho visto traccia alcuna per tutto il giorno successivo.
O sono stati falcidiati dalle pietre volanti, o sono migrati altrove verso zone di cielo più ricche di questi strani insetti romboidali di cui sono tanto golosi.

Ora capisco l’ultima minaccia di quel butleriano morente, è chiaro che si riferiva a questo tipo di bufera in grado di sollevare massi enormi.
Ma, ancora mi chiedo, come poteva saperlo quel fanatico dalla faccia cotta dal sole e con una brutta mantellaccia nera sempre addosso, se qui, in questo maledetto deserto non ci vive nessuno…?

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Il documento originale a noi pervenutoci, termina qui.
In seguito a ricerche effettuate negli Archivi Climatici Planetari Generali della Fondazione Erbertus su Tupile IV, alcuni analisti hanno appurato che il sistema climatico di Alfa Carinae III, denominato Ar-Raqis, nel periodo temporale del 110 a.G. (Ante Gilda), era tanto preciso quanto violento nelle sue manifestazioni eoliche, prima che subisse le profonde modificazioni avvenute nell’era dell’Imperatore Leto II.
Nella prima parte dell’anno vi era una sistematica distribuzione di tempeste e bufere di media intensità su tutto l’emisfero boreale, le quali sollevavano dal suolo in aria ingenti quantità di organismi pseudo insettoidi dalla forma a losanga, fonte principale di nutrimento di insettivori volanti denominati Pipistrelli Cielago, i quali si riproducevano proprio in questo periodo, facendo al contempo incetta di cibo per il periodo invernale.
Finita la stagione del volo, con quella che per questi animali era l’ultima brezza d’autunno, i cielago si ritiravano e riparavano verso le grandi e molto profonde caverne naturali dei vicini rilievi montuosi.
In esse avrebbero fatto trascorrere il violento inverno con i suoi cinque lunghi mesi, cadendo in un profondo letargo circa un mese prima dello scatenarsi, ad oltre 1000 km orari, dei primi veri, terribili e devastanti venti di Coriolis.

Sudraq al-Saliq
12 Nov 2004 – 11:08 – 14.176 Ante Gilda

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TERZO RACCONTO

IL NARRANTE ERRANTE
Memorie di Frontiere Lontane e Ricordi di Libertà

Nella nutrita sezione di Letteratura Antica, della vasta e vetusta Biblioteca pre-butleriana “Las Cordoberas” inglobata nei moderni Grandi Archivi Generali del Museo Imperiale di Mnemosyne III (Beta 2 B Orionis-T) è stato rinvenuto un importante estratto di una Raccolta di Pensieri di un Poeta Errante appartenente alla setta scismatica dei Nomadi Zensufi Rotanti, il mitico Sudhaq Ibn Seyeqa al-Pharjdus del pianeta Yshja (Beta Tygri II), i cui scritti (alcune opere e diverse annotazioni) si erano ritenuti dispersi durante gli sconvolgimenti, nel 6796 P.G. della Grande Rivolta di al-Qabjr (conosciuta come la Tigre di Smeraldo), che diede serie difficoltà di gestione dell’autorità imperiale nelle lontane colonie e protettorati della Casa Regnante dei Corrino.
Secondo un misto di leggende e dati storici fu proprio tra le foreste tropicali equatoriali di Yshja che ebbe origine l’ultimo grande terrore dell’Impero Interstellare del Leone Dorato, millenni prima del devastante Jihad di Muad’Dib.
Il grande movimento di rivolta di al-Qabjr (la Tigre di Yshja o di Smeraldo) culminò e terminò con la distruzione, con un’impressionante bombardamento di atomiche bruciapietre, verso il 6809 P.G., del pianeta Moqracem (Beta Canopi-2), l’ultimo rifugio segreto della Tigre antimperiale.

Qualsiasi tentativo di rintracciare qualche discendente appartenente alla stirpe di al-Pharjdhus ancora in vita è risultato finora vano.
I documenti venuti in possesso di un Gruppo di Ricerca Filologica Yberiqo, posti subito sotto esame fisico, chimico e semiotico, presso l’Istituto di Medievistica Stellare dei Primi Mille Mondi su NovaSantiago (Eta Cassiopeiae B VIII), denunciano, dai primi risultati, gli aspetti più importanti della produzione letteraria del Poeta Zensufi, con una marcata evidenziazione sul dramma, mai dimenticato, della forzata deportazione del suo popolo zensunni (e varie etnie buddislamiche ad esso associate) di varia estrazione dal pianeta Poritrin (Epsilon Alangue III), con buona probabilità nel lontano 4492 P.G. (Post Gilda).

Il documento, trascritto più volte in sottili fogli cartacei di Cristalli Riduliani, è stato scoperto da un’intraprendente studiosa d’antiche origini hispaniqe, la Dr.ssa Cormabèla Baqtiatus Argavillas, della Congregazione di Medievistica Stellare di Nova Cartagena de Compostela, al Settimo Margine Stellare di Eta Cassiopeiae III.
Inserito in una Raccolta di Grandi Poeti Erranti, il Nomade Zensufi esprime in quest’opera tutto il suo dolore per l’abbandono forzato della sua patria dorata e ricca di bellezze, dolcezze e libertà di vita. Un Cronachista di Simeteq Primo (Gamma Hamadis IV), tale Ubrahim Syqillus che fu suo contemporaneo, descrisse il suo stile compositivo come tipico dei Poeti Narratori Erranti che allietavano piuttosto di frequente le varie corti nobiliari delle numerose Case Planetarie sparpagliate nel sempre più vasto Impero dei Tredicimila Mondi.
Tra la fine di una poesia e l’inizio di un racconto metaforico, il Narrante Errante amava inserire qualche pagina del suo Diario di Viaggio, nelle quali furono rinvenuti alcuni stralci e abbozzi di suoi pensieri ed impressioni. Ne proponiamo qui un esempio.

“Sospiro nostalgico
verso la mia amata terra,
nella cui fertile polvere
si mescolano e si trasformano
le membra, le ossa e i cuori
dei miei Antenati,
al medesimo modo che geme
pensando la propria casa colui,
che, contrastato dalle tenebre e
vagante su falsa strada,
torna cambiato dai suk.
Già le mie vecchie mani sono vuote
e desolate del profumato fiore
della giovinezza,
e m’è rimasta la Mente e la Bocca
piene di dolci rammenti delle prime passioni.”

Sudhaq Ibn Seyeqa al-Pharjdus

(Sudaq Ibn Uzzah al-Saliq)

Queste parole di sentimento per il proprio mondo ormai perduto, è stato accertato con sempre più convincente approssimazione, essere appartenenti al Poeta Zensufi Rotante Sudhaq Ibn Seyeqa al-Pharjdus del pianeta Yshja (Beta Tygri II), quarta Sosta della Migrazione Forzata Zensunni (prima metà del V millennio P.G., sotto il lungo regno di Ezhar VII Corrino), il quale, identificandosi in un suo lontano antenato di quasi duemila anni prima, tale Sudaq Ibn Uzzah al-Saliq, fu costretto ad abbandonare il pianeta Poritrin da giovane, quando fu deportato dai Sardauqar Imperiali verso stelle lontane.

Nonostante la vasta notorietà del Narrante Errante di Yshja, Sudhaq al-Pharjdus rappresenta, con questi scritti, un pezzo curiosamente ignoto della storia dei Trimundia e del Sistema di Yshja in particolare, su cui permasero lungamente per 1898 anni gli Zensunni poritrinoti.

L’ambiente storico in cui visse il letterato era caratterizzato da un periodo abbastanza turbolento, durante il quale ebbe facile gioco di identificazione con gli eventi occorsi al suo lontano antenato di Poritrin.
Dopo quasi tre secoli di un unico dominio del Siridar della Trimundia, Ibrahmmed ibn-Qamesh (conosciuto anche come Aristocles Qomadòs, ultimo esponente di un ramo cadetto degli Atreides di Jaddua, convertitosi al credo Saari dei discendenti di Maometto III), la presenza dell’etnìa poritrinota (a forte maggioranza buddislamica) inizia a conoscere il suo epilogo in un devastante, quanto incomprensibile, conflitto fratricida fra gli ultimi Qemiri (ovvero Regnanti Pretendenti) del sistema planetario dei tre Mondi di Yshja: Yuzzuq Ibn Al-Qawwàs, Qemiro (signore) di Ghennagrin (Beta Tygri I), Quwadi Ibn al-Nequd, qemiro di Dremazaqqa (Beta Tygri III) e Oqarus Ibn al-Maqqos, qemiro-naqaid delle Terre Orientali di El-Qutona, su Yshja (Beta Tygri II).

In aggiunta ai suddetti tre personaggi ne appaiono altri due: questi saranno i responsabili principali della perdita della Regione dei Trimundia da parte dei buddislamici: Anumyat (sorella di Yuzzuq Ibn Al-Qawwàs e moglie in un primo momento di Omaq Moq’Laty) e poi di Qatyl Ibn al-Rysaj il quale toglie dal suo trono il signore di El-Qutona delle Terre Orientali, dopo una ribellione pilotata ed obbliga alla suddetta Anumyat a sposarsi con lui. Il matrimonio naufraga fra mille liti e lei si rifugia dal fratello Yuzzuq Ibn Al-Qawwàs.

E’ l’anno 6760 P.G. e la guerra civile fra i due signori di Al-Qetona e Ghennagrin è già una sanguinosa realtà, segnante l’inizio della riconquista imperiale sulla Trimundia.

Agli storici è più volte sembrato trovarsi di fronte alla trama di feuilleton di scarso interesse, per quanto grandi avvenimenti della Storia siano iniziati con un contrasto di sentimenti tipicamente associabili a personaggi in preda a sconvolgimenti emozionali tipici dell’innamoramento. Ciononostante, questo episodio abbastanza marginale, è stata la scintilla che ha determinato l’inizio della fine del dominio buddislamico.

Qatyl Ibn al-Rysaj contatta segretamente il conte imperiale Ygor Harqos che aveva già saldamente presidiato con le sue armate una dozzina di pianeti di un sistema stellare vicino (Gamma Tygri-B), ad appena 3 anni-luce da Yshja, chiedendogli d’intervenire in suo aiuto per impadronirsi della Trimundia.

Prima della fine del quarto mese d’inverno del 6760 P.G. i primi trenta scaglioni della flotta d’assalto del Conte Harqos, coadiuvato dai reparti del fratello Generale Bashar Boris-Ziolkus, penetrano le difese planetarie, indebolite dalla guerra interna fra qemiri, stabilendo, quasi senza colpo ferire, i primi avamposti su Qalq’arjos, una luna di Ghennagrin, quindi sul pianeta stesso.

I buddislamici poritrinoti della Trimundia sconvolti ed indeboliti dalla violenza dei combattimenti fra qemiri, persero altre lune e vasti settori planetari, fra cui Tametra, Naitro e Retonpa.

Dopo soli quattro anni-standard, nel 6764 P.G., i due principali Qemiri in conflitto vengono uccisi, il primo per mano di un sicario suicida, il secondo in seguito ad una violenta battaglia spaziale contro la potente flotta del Conte Harqos.
In un estremo e disperato tentativo di difesa, il Qemiro Averres el-Qudosh riunisce il restante della flotta poritrinota, concentrando il contrattacco in diversi punti della Trimundia, fra cui asteroidi della nube ortiana, tenendo le forze imperiali, per oltre vent’anni di incessanti scorrerie, in costante scacco strategico. Sul finire del 6784 p.G. l’alto comando imperiale, per conto del Generale Ziolkus e del Conte Harqos, temendo una recrudescenza del movimento di ribellione che caratterizzò la Rivolta della Tigre di Smeraldo, che nacque proprio in quel sistema e che diede loro tanto filo da torcere, organizzarono una trappola mortale per l’inafferrabile ultimo qemiro, Averres el-Qudosh, attirandolo al largo della luna di Qal’qaira (terza luna interna di Qalq’arjos) e sterminando l’intero contingente. Pur di non farsi prendere vivo el-Qudosh si lanciò col suo caccia imbottito di bombe al plasma contro l’ammiraglia del generale Ziolkus, trasformandola in una palla di fuoco radiante. Il generale sopravvisse perchè era temporaneamente a bordo dell’ammiraglia del Conte Harqos per un briefing tattico.

Nello svolgere di quei turbolenti anni, e nello specifico nel 6759 p.G. all’inizio del mese estivo di Caproq, nasce Sudhaq al-Pharjdus nel nucleo antico delle Terre Orientali di Al-Qetona, la mistica e filosofeggiante Shejra ad-Qusa.
Qui vede la luce colui che diverrà un esempio da imitare per molti altri poeti, più o meno Erranti, principalmente buddislamici, ma anche di altre confessioni-convinzioni religiose, tra cui il celebre Josjq Maahmud el-Sjrq di Darwishe-IV, un esempio incarnante l’amore profondo e nostalgico per il proprio mondo perduto e l’inestinguibile tristezza che comporta l’esilio forzato dalla propria terra d’origine, al seguito rocambolesco di un suo zio, imbarcato su un convoglio che lo porterà fuori dal sistema della Trimundia e col quale inizierà il suo peregrinare per gli altri mondi dell’Impero, lasciando le sue tracce sui primi tre sistemi stellari: Nusitja, Garejla e Nova Hispanja. In seguito, come se avesse percorso una sorta di spirale, tornerà a pochi parsec dalla Trimundia, su Sylveq-III alla corte del Qemiro Dawud al-Nanshur, presso cui renderà la sua anima alla Grande Madre dello Spazio sulle sponde delle Isole Coralline della Grande Cintura dell’Oceano Equatoriale su Sylveq-III.

Gli ultimi studi sulla recente scoperta del team hyspaniqo sono stati pubblicati in computatori mnemonici quantistici di ultima generazione, regalando ai fortunati fruitori, un’anteprima emozionante delle avventure e delle vicissitudini di questo grande Poeta che tanto ha contribuito all’arricchimento della Cultura Interstellare dell’Universo Conosciuto, lasciando un retaggio di emozionanti quanto coinvolgenti poemi sulla fugacità dell’esistenza e del suo imperscrutabile destino. Sudhaq al-Pharydus si è sempre appellato come un eterno Figlio di Frontiera, rappresentando, in tutti i suoi scritti e rappresentazioni, le drammatiche vicissitudini che molti umani, per molti millenni hanno sofferto in innumerevoli esilii e deportazioni, lasciandoci una ricchissima eredità di emozioni psicologiche che hanno caratterizzato la vita di svariati milioni di persone, costrette a migrazioni forzate lontano dai loro mondi-casa e prendere finalmente coscienza che, questa particolare sofferenza dell’esilio, è a carattere universale, ben oltre le barriere della razza o la religione professata, in qualunque tempo e in qualunque spazio.

Sudraq al-Saliq

15/12/2016 – 14192 Ante Gilda

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QUARTO RACCONTO

La Sesta Sosta

Mi sveglio.
Sono a letto ad occhi sbarrati.
Sono nel nostro lettone matrimoniale. Al mio fianco la mia compagna è girata di spalle e dorme serena.
Cerco di scuotermi dai residui di brividi di timore ancestrale, un terrore profondo che mi ha attanagliato negli ultimi istanti di sonno.
Una sensazione latente di angoscia e di urgenza continuano sommessamente a squillare come lontani campanelli d’allarme nella mia mente.
Faccio per alzarmi, scostando lentamente le coperte, quando un lungo gemito di risveglio mi segnala che anche la mia Lei è emersa dalle nebbie del sonno notturno. E’ quasi l’alba, e i primi barlumi di luce filtrano dalle vetrate, appannate di condensa, della grande finestra del soffitto. Prima che possa dire o fare una mossa, le schiocco un bacio mattutino sulle labbra e corro in bagno con uno scatto felino.
L’aria del primo mattino ha sempre un che di frizzante e fresco, di una freschezza che sa di pulito e sano, ma i brividi che sento ancora pervadermi il corpo non accennano a placarsi, e non sono dovuti alla temperatura. Quando esco dal bagno di legno, posto a sinistra del letto, e torno a rifugiarmi sotto le coperte, lei, da brava ed esperta sensitiva qual’era, intuisce qualcosa e mi guarda incuriosita.
Non dice nulla, va a sua volta in bagno e torna poco dopo, infilandosi anche lei sotto le coperte con evidente soddisfazione.
Fissiamo entrambi la finestra sopra di noi, senza parlare e cercando di riordinare il flusso dei pensieri.

Poi l’inevitabile sfilza di domande giunge.

— Ebbene? Che ti succede? Hai dormito male…?

— Solo gli ultimi minuti, credo, di sonno profondo. Ho l’impressione di aver fatto un vivido sogno profetico.– rispondo.

Distoglie lo sguardo dalla finestra e mi fissa: — Ne sei certo? Cosa hai sognato?

— Non rammento molti particolari, – sospiro – però ho la certezza che siamo in pericolo, un pericolo molto grave, che ne va della nostra sopravvivenza. In breve, mi trovavo sul promontorio prospicente sul mare a pochi chilometri da qui, e vidi emergere dall’acqua centinaia di balene grigie che annaspavano come disperate verso di me, come se volessero gettarsi sulla spiaggia sottostante a me e lanciarsi in una sorta di fuga impossibile. Un particolare che mi paralizzò, fu che sentivo una specie di voce corale proveniente da loro e che mi avvertiva di fuggire, con la massima urgenza. In quell’istante un bagliore rossastro e un sordo boato mi sorprendono alle spalle, facendomi girare di scatto. Un immane drago in scaglie rilucenti di un tetro bagliore, emerge dalla bocca di un vulcano che, qui da noi, non esiste, eruttando gigantesche fiamme aranciate per ogni dove, devastando tutto. Il coro delle balene divenne un urlo acuto di puro terrore, il drago se ne accorse e diresse le sue fiamme verso di loro, facendo bollire letteralmente l’intero mare. Il mio sguardo era però fisso sull’enorme mostro che, con un movimento improvviso del suo corpo, distrugge la bocca del vulcano, liberandosi completamente e si allontana, lasciando che il vulcano si sfaldasse del tutto e si allargasse in una voragine infuocata fino a spaccare l’intero pianeta.

Per qualche minuto nella nostra stanza regna un pesante silenzio.

Girandosi su un fianco, Sjnoa mi chiede: — E tutto questo l’hai sentito come reale?

Mi ostino a guardare il cielo attraverso la finestra. — Sì, la sensazione di realtà e di urgenza sono stati quasi tangibili.
Volto la testa verso di lei: — Quelle povere balene le ho viste e sentite davvero. Ed anche il drago…

Lei mi guarda con insistenza dritto nelle pupille degli occhi, come se cercasse qualcosa che potesse confermare o smentire le mie affermazioni: — Sudraq… sento il vero, dal tono della tua voce, dal colore dei tuoi occhi, dall’energia che emani e che percepisco in questo momento…

Le ricambio lo sguardo con un mezzo sorriso: — Dunque non mento, anche inconsciamente…

Sjnoa si gira e si alza, prendendo una vestaglia: — No, però, visto che sento nettamente “qualcosa” anch’io, bisogna andare a trovare qualcuno (o qualcuna) che ne sa più di noi, per consultarci e decidere il da farsi…

Ci vestiamo in fretta e approntiamo il carro a tre ruote molleggiate, aggiogando il vecchio Thorsen, un possente bardo da tiro a sei zampe, e ci avviamo senza indugio verso nord.

Il viaggio è breve, in appena due ore attraversiamo il bosco che dà sulla spiaggia per un lungo tratto sul Mare Orientale di Bhalens, superiamo il vorticoso e spumeggiante Ofos, terzo affluente primario del Fiume Norasa, percorrendo il ponte di pietra a tre campate antico di migliaia di anni, per giungere infine in una vasta pianura costellata di case e frutteti, circondata da una specie di recinzione di mura lignee e imponenti torri di guardia alte decine di metri.
Entriamo col nostro carro trainato da Thorsen, che ogni tanto manda sbuffi di protesta, dalla Porta Sud nel momento stesso in cui il Muezzin Taoista intona la preghiera del Primo Mattino.
Salutato il familiare Corpo di Guardia, ci immettiamo nel viale principale illuminato da centinaia di lanterne colorate ad olio, che diffondono una luce calda e soffusa ed, essendo olio aromatizzato da varie tipi di spezie, rendono l’aria profumata ed inebriante. Nonostante fosse giorno, le luci accese fanno parte di una festa di devozione per la divinità principale degli antichi “Figli della Luna” di Meqina, Uzzah, la Grande Madre dello Spazio Cosmico.
Essendo ancora presto, per la strada c’è poca gente, per cui sia io che Sjnoa camminiamo spediti verso il fondo del viale, presso il quale avremmo trovato l’abitazione di una nostra vecchia conoscenza.
Mancano ancora una ventina di metri all’arrivo presso la nostra meta, quando una voce argentina e squillante echeggia da dietro un angolo d’una traversa:
— Sjnoa, Sudraq! Che bello rivedervi! Venite, mia zia ha pronte per voi delle calde tisane…!

Sjnoa, sorridendo, l’abbraccia con affetto:– Thabira, il tuo allegro saluto ci ha ripagati in parte della fatica del viaggio. Dài, facci strada…

Entriamo in casa della zia di Thabira, Zoranja, che ci accoglie con calore e ci invita a sederci sui cuscini attorno al tavolino dove è già pronto un vassoio intarsiato con tazze fumanti di tisane ed una brocca per le abluzioni rituali.

Un rapido sguardo d’intesa tra le due donne stabilisce subito il tenore dell’incontro, in quanto Zoranja dice alla nipote: — Thabira cara, mi fai il favore personale di andare a chiamare tuo zio Jamiz che ho bisogno di lui? — Vedendo il volto deluso della ragazzina, la zia aggiunge: — Ti prego, è importante.–

Sentendo nel tono della voce una leggera nota di urgenza, la ragazzina non replica e corre via, non prima di averci lanciato uno sguardo preoccupato.

Zoranja comincia a versare la tisana nelle tazze di fronte a noi:– Dal colore dei vostri occhi intuisco che avete un grave fardello da scaricarmi addosso…– Ci guarda con un mezzo sorriso.

Sjnoa le spiega l’antefatto e poco dopo m’invita a ri-raccontare il sogno-incubo a Zoranja.
In pochi minuti l’anziana donna impallidisce visibilmente, tanto che mi alzo istintivamente per sorreggerla, mentre Sjnoa le versa un’altra tazza di tisana.

La sua voce si fa un sussurro, come se temesse di essere ascoltata da estranei:– Sono almeno sei o sette giorni che ricevo rapporti simili al vostro, sogni angosciosi più o meno confusi di un imminente disastro che ci toccherà tutti. E tutto. Il tuo, Sudraq, è il più chiaro, anche se codificato in simboli, che mi sia giunto. E la cosa non mi piace per niente.

Mi inginocchio accanto a lei e la guardo negli occhi:– Sono daccordo con Sjnoa nel ritenere le balene che mi gridano di scappare come la voce della Natura stessa, rappresentante tutti gli esseri viventi, che cerca di avvertire coloro che possono in qualche modo mettersi in salvo. E il mare che bolle evidenzia brutalmente che il destino è ineluttabilmente segnato. Quello che non riusciamo a capire è l’enorme drago infuocato che esce da un vulcano inesistente…

Zoranja per tutta risposta, si alza faticosamente dal cuscino, sorretta da me e da Sjnoa, si dirige verso la parete opposta, si china a terra, alza un vecchio tappetino da preghiera, scoprendo una botola nel pavimento, la apre e tira fuori una cassettina di legno con inciso sul coperchio un semi-scolorito segno del Tao, l’eterno e ciclico vortice dello Yin e dello Yang.
Comincia a scartabellare in cerca di qualcosa, mentre noi due ci scambiamo uno sguardo perplesso, finché con un sospiro di trionfo tira fuori un foglio che solleva verso di noi: — Guardate.– geme laconica.

Sjnoa prende il foglio colorato in carta di papiro honnita e lo guardiamo insieme. Una gelida morsa allo stomaco ci colpisce entrambi contemporaneamente.
Disegnato con vivaci colori rossastri e aranciati un mostruoso e gigantesco verme dall’aspetto metallico fuoriesce da un cerchio colorato con alberi, montagne, mari e vari tipi di animali. E’ un’evidente rappresentazione del nostro Pianeta ospitante. Ma l’aspetto angosciante é che la sfera da cui si allontana il mostro è spaccata in due, e tutti gli animali disegnati hanno un’espressione mista tra lo stupore, il terrore e la consapevolezza della fine.

Una profonda voce di basso ci fa sobbalzare entrambi:– Quel disegno lo realizzò Thabira a quattro anni.– dice Jamiz indicando il foglio che abbiamo in mano. — Ed altri simili ne ho raccolti fra le varie famiglie che abitano questa valle e altri luoghi più lontani. Dicono tutti la stessa cosa: questo pianeta è condannato a morte.

Aiutiamo Zoranja a sedersi su una comoda poltrona. Il tempo dei convenevoli è finito. Jamiz prende altre tre sedie e ci offre di sederci intorno all’anziana donna.

Dopo qualche minuto di pesante silenzio, Sjnoa inizia:– Mi ricordo che quando consultammo le Sciamane dei Sogni, durante la cerimonia dell’Anniversario della Prima Casa, esse ci dissero che questo pianeta sarebbe stato la nostra Sesta ed Ultima Tappa del nostro vagabondaggio tra le stelle. Confermato, negli anni successivi, anche dagli Anziani Nomadi Veterani. Cosa è cambiato?

Zoranja sembra riscuotersi da un’apparente apatia:– Sono nove generazioni da che siamo atterrati qui e abbiam vissuto come “Misr”, Popolo Libero, e, in sette secoli e mezzo circa, abbiamo sempre avuto questo responso, ad ogni Anniversario…

Eppure, l’ultima generazione, quella di Thabira, ci ha dato un oracolo diverso…– interviene Jamiz.

…Frantumando tutti nostri sogni e speranze per un futuro sereno.– completa Zoranja con un singulto nella voce.

Comincio a parlare come soprapensiero:– Per quanto assurdo e impossibile possa sembrare…

Sjnoa tenta di fermarmi:– Sudraq, non inquinare la visione con impressioni fittizie…

Jamiz, osservandomi interessato, le mette una mano sulla spalla:– Fallo parlare, è in quasi-trance…

— Quelle scaglie dall’aspetto metallico — continuo — che rammento del mio incubo, e che ritrovo anche nel disegno di Thabira e che, a questo punto mi sento autorizzato a credere che sia un particolare ricorrente in tutti i rapporti che avete avuto, vogliano significare solamente un enorme oggetto di natura artificiale… qualcosa di simile… a un…

Zoranja e Jamiz quasi gridano in coro:– Un cargo della Gilda Spaziale??!!

— Ma è assurdo! — grida di rimando Sjnoa, come a voler esorcizzare una simile calamità. — Le rotte spaziali e le relative destinazioni planetarie vengono determinate dal Navigatore prima del Salto e confermate dalla strumentazione di bordo con una precisione del cento per cento!

— Questo è quello che sappiamo e che abbiam sempre saputo…– aggiunge Jamiz, fissandola negli occhi castano-rossastri.– Ma l’imprevisto è sempre in agguato… e ben abbiamo imparato a nostre spese, il potere preveggente del nostro popolo, soprattutto dei nostri figli e nipoti. Una visione di preveggenza fatta un anno fa, anche se fatta, con tutto il rispetto, da Sciamane del Sogno, perde di valore di fronte alla pura potenza delle giovani menti dei nostri bambini e bambine… e vista la percentuale sempre più elevata di conferme che trovo in giro, è lecito pensare il peggio e agire rapidamente prima che sia troppo tardi.

Zoranja fissa ansiosa il suo uomo:– Possiamo sperare di avere la possibilità di andarcene…?

Jamiz le restituisce lo sguardo, fermo e deciso:– Mi attiverò subito. Stasera stessa faccio convocare una riunione straordinaria del Consiglio degli Anziani e delle Sagge, in cui prenderemo i necessari provvedimenti per un’evacuazione planetaria d’urgenza. Faremo in modo di tornare su Rossaq.

Sjnoa lo guarda incredula:– Dunque è vero, corrisponde a ciò che si agita nel mio cuore da diverso tempo e mi rifiutavo di accettare. Stiamo per iniziare un nuovo esodo…

Ancora sotto l’effetto della Tisana di Zoranja, e cingendo Sjnoa con un braccio, sospiro:– La Settima Tappa sarà un pianeta deserto…

§ — § — § — § — § — § — § — §

Biblioteca Imperiale di Tupile.
Archivio Segreto della Gilda Spaziale.
Rapporto Segreto Numero 96 della Gilda Spaziale.
Copia dell’originale degli Archivi di Junction.

SUNTO BASE

Un gruppo di pirati Marudu predatori d’uomini, aveva preso in ostaggio l’equipaggio di un cargo della Gilda Spaziale e con iniezioni di gas aranciato nella cabina del Navigatore, costrinsero quest’ultimo a dirottare la cosmonave verso il satellite di Delta Pavonis, sul quale sapevano esserci alcune colonie di Zensunni.
Le dosi massiccie di gas di spezia immesse dai pirati, forse con l’intenzione di farlo andare più in fretta, fecero entrare in overdose il Navigatore che sbagliò il punto di emersione dall’iperspazio. Invece che approssimarsi all’orbita del pianeta scelto, gli si materializzò all’interno, provocandone la distruzione.
In seguito a tale atto criminoso è stato disposto un rafforzamento del Cordone Sanitario attorno al Pilota di Terzo Stadio e più repressivi controlli nell’imbarcare nuovi passeggeri.

Il Commercio Spaziale Non Deve Interrompersi.

Sudraq al-Saliq

H-12.13 – 15/11/2012 – Anno 14188 Ante Gilda
Scheda riassuntiva della Migrazione Forzata Zensunni

1- 2800-P.G. – Elrood V dona Poritrin, terzo pianeta di Epsilon Alangue, alla Casa Maros. Siridar Charles Barone di Mikarrol, governatore planetario della Terra, manda due milioni di Zensunni su PORITRIN, iniziando la Migrazione dei Zensunni.
Fu considerato da molti Nomadi Zensunni il pianeta d’origine, anche se indicazioni che traspaiono dalla loro lingua e mitologia fanno pensare a origini planetarie molto più antiche. Prima Sosta della migrazione forzata.

2 – 4492-P.G. – Poritrin viene assegnato alla Casa Alexin, e i Sardaukar vengono mandati a scacciare i Zensunni, che si dividono fra Bela Tegeuse e Salusa Secondo.
SALUSA SECUNDUS è il terzo pianeta di Gamma Waiping, adibito a Prigione Imperiale dopo il trasferimento della Corte Reale a Kaitain.
Salusa Secundus è il pianeta d’origine della Casa Corrino, e il SECONDO punto di Sosta della migrazione forzata dei Nomadi Zensunni. Secondo la tradizione Fremen, essi rimasero schiavi per nove generazioni su Salusa Secundus.

3 – 4492-P.G. – BELA TEGEUSI è il quinto pianeta di Kuentsing, TERZO luogo di sosta degli Zensunni.

4 – 5295-P.G. – Ezhar VII libera i Zensunni di Salusa Secondo, inviandoli su ISHIA, secondo pianeta di Beta Tygri.
QUARTO luogo di sosta dei Nomadi Zensunni.

5 – 6049-P.G. – I Zensunni su Bela Tegeuse vengono trasportati in parte su Harmonthep e in parte su ROSSAK, quinto pianeta di Alces Minor.
QUINTO luogo di sosta Zensunni.

6 – 6049-P.G. – HARMONTHEP–Ingsley lo cita come il pianeta sul quale gli Zensunni si fermarono per la SESTA volta. Si presume che sia stato lo scomparso satellite di Delta Pavonis.
ca. 6800-P.G. – Harmonthep, un satellite di Delta Pavonis, viene distrutto da cause ignote. Dopo 751 anni dalla sosta Zensunni.

7 – 7193-P.G. – ARRAKIS – I Zensunni su Rossak comprano un passaggio per Arrakis dalla Gilda Spaziale. Tutti i Zensunni di Ishia e Rossak raggiungono Arrakis, la SETTIMA ed ultima sosta.

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QUINTO RACCONTO

CROSSING STORM
Il Segno da un Altro Mondo

Anno 10.164 dell’Era della Gilda Spaziale.
L’Imperatore dell’Universo Conosciuto è il Padisha Elrood IX e la gestione delle Miniere di Spezia su Dune è stata affidata al Casato Baronale Harkonnen.
Le soverchierie cui sottopone i popoli indigeni, questi stranieri troppo pieni d’acqua, sono già al limite della sopportazione. Le ribellioni dei Fremen del Deserto si fanno sempre più frequenti da quando un nuovo Arifa ha deciso che la misura è colma e si accolla gli attacchi di guerriglia fra le sue responsabilità, per quanto comunque, restino ancora come fastidiose punture d’insetto mosca-piuma.

Era la mia prima vera missione da giovane uomo, in quanto avevo da poco superato la “Mihna” e partecipai con mio zio Fauruk ad un’impresa che richiedeva il massimo coraggio e determinazione. Stanare un gruppetto di sei harkonnen che ebbero la poco astuta, quanto molto ingorda idea, di separarsi dal convoglio al seguito dell’Ala-Trasporto, depredando un grosso quantitativo di spezia grezza.
O almeno credevano di riuscirci.

Il nostro gruppo di cinque uomini era saldamente unito da una “cherem”, una fratellanza d’odio vendicativo contro tre di quei tipi che avevano trucidato un’intera famiglia di nove persone del nostro Clan.
Nessuno di loro era destinato a sopravvivere al nostro attacco.

Li sorprendemmo all’interno di una caverna a ridosso della Catena di Habbanya; avevano già approntato due ornitotteri stracarichi di Spezia con i quali avrebbero voluto sgattaiolare verso il Polo Sud per unirsi (o almeno fare affari) ai “Liberi Commercianti” e pagarsi un viaggio verso Giedi Primo o qualche altro pianeta.

Lo scontro fu cruento e della massima ferocia; due di noi furono crivellati di colpi di pistole maula, ma prima di spirare il loro cryss si bagnò nel sangue di tre harkonnen.
I superstiti tentarono la fuga, lanciandosi col primo ornitottero verso l’esterno in direzione sud. Il secondo lo prese mio zio Fauruk; scaricammo i sacchi di spezia sul pavimento della caverna per alleggerire il velivolo e ci lanciammo all’inseguimento.
Quegli inetti ingordi e vanagloriosi ladruncoli harkonnen, non si resero conto che, anticipando così tanto la partenza, andavano dritti verso una tempesta la quale, in base ai segnali allarmati di diversi stormi di pipistrelli cielago, era da considerarsi potente almeno quanto una “Huanui-naa”, una fra le più grandi tempeste di sabbia del pianeta, paragonata ad un gigantesco Distillatore della Morte.
Sia io che Muddil, il compagno superstite allo scontro precedente, supplicammo ripetutamente Fauruk di abbandonare l’inseguimento e di lasciare gli harkonnen preda dei terribili venti “Hulasikali”, i Mangiatori di carne da oltre 600 klick di velocità.
Ma Fauruk non volle sentire ragioni ed urlando “Dalal-il’an-nubuwwa!” rivolse la minaccia rituale contro chiunque avesse tentato di fermarlo nel suo intento di vendetta.

Di lì a poco avevamo superato circa 3 martellatori di distanza da Habbanya, quando scorgemmo in lontananza l’enorme fronte scuro e baluginante di lampi della tempesta di sabbia.
Era davvero impressionante nella sua imponente estensione, coprente l’intero orizzonte di uno oscuro manto di polvere.
Per l’ultima volta Muddil gridò di tornare indietro per non fare una fine da “ke’leb”, da cani randagi del deserto e per tutta risposta una flebile voce giunse dalla cloche di comando: “Taqwà!”. L’urlo di guerra di Fauruk era appena percettibile nel fracasso infernale della sabbia che frustava le fiancate del nostro ornitottero.
Con apprensione sempre crescente io e Muddil ci affidammo alla protezione dei “Qadis As-Salaf”, i Santi Padri della mitologia Fremen.

Il velivolo degli harkonnen sembrava ormai fuori controllo, facendo delle impennate e discese vertiginose.
Aveva già perso due ali ed altri frammenti andava perdendo nel suo volo di morte, puntando dritto verso il Cono Centrale della tempesta.
Anche il nostro ornitottero non stava meglio messo e tutta la struttura urlava per le terribili sollecitazioni a cui era sottoposta. Mentalmente mi preparai al mio destino e al mio incontro con Shaj-Hulud, contando a ritroso il poco tempo che mi restava da vivere: suchta [sei], picha [cinque], chuascu [quattro], qimsa [tre], ishcai [due], shuc [uno]… un lampo violentissimo illuminò a giorno la nostra cabina e ciò che vidi rimarrà scolpito nelle mie ossa anche quando si saranno mescolate con la sabbia del deserto.
Un’immensa struttura a forma di doppia piramide galleggiava sinistra e imponente all’interno dell’Occhio dell’uragano, apparentemente solida ed indifferente dell’inferno che vorticava intorno a lei. Tra le varie scariche elettriche, di cui sembrava che le assorbisse, la loro vivida luce mi diede l’impressione d’intuire sorta di finestre e portali distribuiti lungo le pareti di questa gigantesca piramide doppia.
Non avemmo il tempo di vedere altro, un’altra violenta corrente ascensionale ci ghermì e ci scagliò fuori dall’occhio ciclonico, trascinandoci per numerosi martellatori verso nord.
Precipitammo a vite sopra la Catena di Sihaya. Eravamo morti se Muddil non avesse avuto un lampo di genio: tirò fuori dal suo zaino il grosso telone poroso in fibra di spezia che gli sarebbe servito per il rituale della distillazione dell’acqua del nemico, lo assicurò al cordame che ci portiamo sempre per guidare i vermi delle sabbie e realizzò un rudimentale frena-cadute. Così, giunti ad una certa altezza, ci affidammo ai “Djinn”, gli Spiriti dell’Aria e planammo alle spalle del Sietch di Thubir, tra lo stupore delle sentinelle.

— Bah, non ricordo più quante volte te ne ho parlato…–
— Almeno una ventina di volte…–
— E non ti sei stancato?–
— No, mi piace ascoltarti…–
— Va bene, però che sia l’ultima volta per questo mese, siamo già a Caprock e ho ancora molte cose da fare. Come te del resto. Ti ho concesso questa mezzoretta, ma ora devi andare verso i tuoi doveri, è chiaro?–
— Sì, Nonno, volevo solo dirti che ho ritrovato il tuo Ciondolo della Tempesta e… ehm, pensavo di restituirtelo…–
— eh, eh, piccolo brigante, l’hai “ritrovato” eh? Va bene, faccio finta di crederti, tienilo e conservalo con cura, perchè è il Segno di una Nuova Vita. La mia.–
— Yuuhh, grazie Nonno! Starò attentissimo, sta tranquillo. Ciao!–

Il piccolo Farid si allontana sgambettando tutto contento dal Nonno Orato che, con un sorriso sornione, accarezza sotto l’ampio mantello Dishdasha il suo nuovo Segno, un simbolo grafico che l’ha ossessionato nei sogni per tutta la sua lunga vita.

Una grande A senza la barretta inferiore e con un cerchio in cima.

23.05 19/10/2004 – Anno 14174 Ante Gilda
Sudraq al-Saliq
http://www.duneitalia.com

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SESTO RACCONTO

Attraverso

Se resisto, se non mi faccio sopraffare da questa immensità onnipresente, forse, incontrerò un’altra oasi.
Il deserto è una sterminata serie di conche di dune, un lungo, profondo rimpianto sconfinato di ombre.
Alle mie spalle sanguinano, rosseggianti negli ultimi guizzi scarlatti del tramonto, un pugno di pesanti tende oscure.

I fremen hanno una voce bassa, profonda e lineare, senza gobbe nel cuore.
Li ho visti dormire affondati in un regno avvolgente di pieghe insondabili del loro accampamento, temporaneo quanto impenetrabile Hiereg. Così, fino all’alba della Seconda Luna, quando ancora tutto può accadere.
Non hanno pietà con quegli inquietanti occhi assetati: il cielo ruba loro, ogni giorno, la speranza delle vette.
Le valli, tra una duna e l’altra, spoglie di piante, sorridono all’orizzonte, laddove mani umane non giungono, neppure portandole al di là della vita.

Non ricordo di avere sognato prima del suo sorriso.
Non ricordo se le avevo sorriso dopo il suo sogno.
Vivevo il ricordo di un paesaggio senza guerre, una carezza priva di laghi, una pianura spiegata come un fazzoletto abbagliante di grano maturo, nelle lande lussureggianti dell’antico e perduto Harmonthep.
Non c’era che il sole in quel lungo viaggio migratorio. Le stelle, lontanissime come un sogno impossibile, mutuavano i raggi all’improvviso confine del nulla.
Un’estenuante Hajr, un cammino senz’acqua, con la lingua affogata nella saliva tra le labbra ruvide degli innumerevoli graffi minuti del deserto: la pelle diventa un solco polveroso d’increspata vita.

Dai campi addolorati di antiche ferite ondeggianti come rossi papaveri, alle savane pietrose sfinite di stentati cespugli di rovo creosoto, tanto cammino per ritrovarsi in una radura dove il sale d’un vecchio lago prosciugato gioca con le nostre lacrime che, a sera, sciolgono gli occhi.

E quando giunse, non c’era che un Batigh aperto fra me e il domani.
Un piccolo melone abbandonato alla pietà dell’arsura.
Sperare nelle soluzioni improvvise, senza piccoli muaddib saltellanti nelle zolle impalpabili d’immemore cipria, sembrava l’unico desiderio possibile.

Prima del suo arrivo, l’aria nascondeva i respiri d’un mare nascosto, geloso d’un atavico mistero antico quanto la vita, come la vuota ed echeggiante memoria del passato.
Ricordo le notti in cui le mani affondavano nel fuoco.
Bagliori di fiamme bruciavano come se la linea che ci separa dalle impreviste passioni potesse essere distesa, appoggiata orizzontalmente al futuro.
Ed osservata nel suo insieme dall’alto ed interiore occhio del nostro eterno presente, ci si rende conto che è un qualcosa che abbiamo già visto.

Percorrevo le ore nell’incantata infanzia degl’imperituri astri, innumerevoli eoni di fredde e variopinte stelle: quando si apre la vita, si scorge anche il deserto e le sue onde mutevoli.
Nessuno era tanto pazzo da preparare le tende del dolore.
Prima del suo lento respiro, nelle oasi non c’erano che miraggi.

Sacrificavo, nei recessi segreti del mio cuore, montoni testardi agli dèi. Gli altari, appena innalzati, si disfacevano in eteree nubi di polvere alla prima goccia di sangue. Vittime feroci contro la mia forza, si abbandonavano alla rinunzia nell’ineluttabile.

Un pugnale vivo, fremente della forza di Shaj-Hulud, appoggiato sui fianchi, l’ultimo dono del vecchio assassino di ombre. Lui conosceva il sole sotto le pietre e le sabbie dello sconfinato Erg. Sapeva che nulla muta quanto il tiepido velo che si proietta sul sentiero dell’anima.
Un lungo sentiero a spirale, tanto irto di sassi e rovi, quanto ricco, alla méta, di dolci regali.

S’inginocchiava sulla sagoma che tremava e, con la punta della lama, ne ripercorreva i contorni.
Entrai nel deserto abbacinante con un’arma spietata per uccidere l’ombra.
Non avevo null’altro, un confine, un dettaglio, una freccia che m’indicasse “qui”.

Sulle dune argentate nell’attesa della prima luce lunare, uccelli con piume affamate d’aria, migravano onirici dalla terra che avevo scelto per me.

Una rotonda landa di sabbia sconfinata, galleggiante come un piccolo gioiello d’ambra arancione, nelle profonde e vibranti immensità del mio sogno cosmico.

La Seconda Luna è sorta.
Attraverso.

Sudraq al-Saliq
11 Feb 2005 – 15:51 – Anno 14175 Ante Gilda

Pubblicato in: Vetrina dei Libri

Paolo Schianchi, il Signore del «Visual»

Oggi vi presento un uomo decisamente d’impatto: Paolo Schianchi. E considerando che non lo conosco di persona ma mi ha conquistato solo virtualmente, posso sottolineare la definizione che lo contraddistingue:

Un cacciatore di prodigi

Entrambi i libri che ho preso in considerazione hanno delle prefazioni decisamente accattivanti, elaborate da persone che, è chiaro, hanno assorbito una buona dose della creatività di questo personaggio carismatico.

Chiaramente il mio entusiasmo deriva dal desiderio di imparare sempre cose nuove e sempre nuovi concetti, se non ti senti stimolato dall’argomento
-VISUAL-
come concetto di espressione da cui scaturiscono diversi filoni social/comunicativi, interrompi subito la lettura di questi brevi commenti.

Tenendo conto che tutto questo entusiasmo non proviene solo dalle poche righe lette nei suoi estratti, ma anche e soprattutto dall’innovativo mondo di tiktok, mi sono persa proprio ieri sera, durante la cena con Pier, nel suo intrigante quesito:

Sai com’è una stanza vuota?

Tra le innumerevoli elucubrazioni della mia testa è emersa la definizione dal mio compagno di vita, che qui riporto: «Una stanza vuota è come una scatola priva di contenuto, esistono solo le nude pareti, il soffitto e il pavimento»

Schianchi è un individuo che sicuramente spiazza, affascina, avvolge.
Mentre leggevo il secondo estratto, ho avuto la certezza che il cervello visivo di Paolo sia un gigantesco organigramma preciso e magnifico nei suoi contenuti. Un grafico preciso e ricco di cui lui ricorda ogni minimo particolare e di cui ha una gestione magistrale. Ovviamente rimaniamo nell’ambito della sua categoria.

E’ un dato certo che quanto prima acquisterò per intero i suoi lavori.

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Pubblicato in: 2020, Fantasy, Kindle - letture digitali., Saga, Senza categoria

Buona crescita per il 2 vol di Magisterium

Callum Hunt ha tredici anni, frequenta il secondo anno del Magisterium e dovrebbe essere morto. Perché prima di essere uccisa, sua madre ha lasciato una scritta incisa nel ghiaccio: UCCIDETE IL BAMBINO.

Ma questo non è il peggiore dei suoi segreti. Callum sa di avere dentro di sé l’anima del Nemico, che si è impadronito di lui dopo il Massacro Gelido. E sospetta che suo padre voglia rubare l’Alkahest, il guanto di rame, unico oggetto magico in grado di salvare il mondo dalla malvagità assoluta.

Quando decide di partire in cerca del padre, però, scopre di non essere solo. Con lui ci sono i suoi migliori amici: Aaron, timido e generoso, che ha appena scoperto di essere il Makar e possiede la potente magia del vuoto, Tamara, intelligente e piena di risorse, e Subbuglio, il giovane lupo del caos che non lo abbandona mai.

Il primo volume mi ha molto entusiasmato, per questo ho deciso che, in un modo o nell’altro, li leggerò tutti e cinque.
In questo secondo volume, oltre che l’avventura, la suspence, le varie aspettative che il lettore ha, vi è anche quella gradazione evolutiva che io adoro tantissimo: la crescita personale di ogni individuo; l’esperienza che ti insegna; gli errori che cambiano la tua rotta; e le prime palpitazioni di quella cosa sconosciuta che si chiama amore (o attrazione). Tutto ovviamente, senza esagerazione, visto che siamo solo al secondo volume.

In tutto questo ci dobbiamo mettere anche lui, Callum, il ragazzino ribelle che stava dalla parte di suo padre perché il Magisterium è roba cattiva, il Callum che deve capire chi è in un mondo interiore, che è già tremendamente incasinato: il preludio dell’adolescenza. Tanto di cappello a questo piccolo individuo per la forza che deve trovare a reggere tutto quello che lo ha travolto.
L’evoluzione stessa della storia ha gettato su di me il tarlo della confusione, per come è andata la storia mi chiedo davvero cosa succederà nei 3 futuri volumi rimanenti, perché io non ci credo proprio che sarà tutto così rose e fiori.
Ci vediamo al prossimo volume 🙂

Pubblicato in: Fantasy, Film, Trilogia

Queste oscure materie – Serie

La Bussola d’oro, trilogia di Philip Pullman. Una storia così bella tanto quanto imperfetta.


A memoria ricordo la mia critica più convinta riguardo a questa trilogia che io ho sempre considerato “groviera” per i suoi contenuti così “ristretti”, poche location e tante domande a cui in nessuno dei libri ho mai avuto risposta. Nemmeno i creatori della serie si sono sentiti di farlo, almeno nella prima trilogia, sebbene, essendo appunto una serie, vi sono un mare di immagini aggiuntive che nei libri non esistono.

Che cos’è dunque che l’ha resa così straordinaria? Il Daimon; L’anima di un individuo.


Il più conosciuto e famoso è proprio il mustelide della protagonista Lyra: Pantalaimon (guarda a caso l’assonanza). Pan può ancora trasformasi in tutti gli animali che vuole e solo nella pubertà dell’individuo si stabilizzerà. Quindi, in effetti, vi sono una marea di descrizioni, tranne la domanda che mi son sempre posta non ha mai trovato risposta: tecnicamente, come nasce un Daimon?

Chi non vorrebbe una creatura Animale con cui condividere la vita in modo così viscerale e univoco? Una creatura che ti completa, un’Anima parlante, forse si potrebbe capire decisamente di più su noi stessi e sulla nostra “reale” anima silente situata da qualche parte dentro di noi.

Per farla breve, la prima serie è davvero ben riuscita, direi anche più struggente del primo film realizzato nel 2007 (mi pare). Se non conoscete i libri ve li suggerisco caldamente, nonostante le mie critiche.

Pubblicato in: 2020, Erotico, Kindle - letture digitali., Narrativa, Sentimenti

Dalle stalle alle stelle, o viceversa?

Viaggiare sul filo sottile tra verità e finzione non è semplice, Kade Taylor lo sa bene.
Erede per diritto di nascita a un posto nella Camera dei Lord e di un impero informatico, multimiliardario di famiglia, non ce l’ha fatta a reggere il peso delle convenzioni sociali e ha trascorso gli anni dopo la laurea a Oxford rimbalzando da una festa all’altra nel lusso sfrenato tra donne, alcool e droghe.
Ormai ha quasi trentanni e suo zio, amministratore delle finanze di famiglia, decide che è tempo che si dia una regolata e si faccia carico delle sue responsabilità. L’alta società londinese non vede di buon occhio gli scapestrati come Kade, però, è quindi necessario che la sua reputazione torni immacolata, ma come fare?
Horace Williams, consulente d’immagine e social media, ha la soluzione per lui: Kade dovrà solo seguire le sue indicazioni, ma il piano per riabilitare la fama del giovane lord risulterà vincente?

Hailey Bell ha trascorso la vita a lottare, sua madre è morta e suo padre è gravemente malato, sbarca il lunario lavorando in una pizzeria d’asporto e manda a casa parte dello stipendio per provvedere alle cure mediche del padre dividendo un piccolo appartamento con l’amica Colleen. Improvvisamente, però, quei soldi non bastano più e Hailey deve assolutamente trovare un secondo lavoro. Quando, speranzosa, si accinge a fare un colloquio presso uno degli scintillanti grattacieli della City, si aspetta tutto tranne il tipo di impiego che le sarà proposto. Ma accettare di fingersi l’amabile fidanzata di un futuro lord e magnate dell’informatica è la soluzione ai suoi problemi? È davvero la donna giusta per un lavoro simile?

Un lettore tradizionale forse non si avvicinerebbe per il concetto della trama molto gettonato e conosciuto.
Un fan di Laura Rocca invece comincia a fare la “bavetta” già solo a leggere le anticipazioni sui suoi social (che ovviamente segue).
Sono nella seconda categoria e se tu, che stai leggendo, sei nella prima ti suggerisco di avvicinarti per gradi a questa autrice self made in Italy, tanto per familiarizzare con la sua creatività e abilità.
sfoglia i libri di Laura Rocca

Scrivere un libro su un tema “scontato” mi fa pensare ad una sfida auto-imposta dall’autrice stessa, spesso nella trama emergono situazioni imbarazzanti che lanciano al lettore forti sensazioni di riflessione. Istintivamente quando leggo, cerco sempre di sgamare lo scrittore sull’esposizione, sulle scelte, sui risultati. Laura ha risposto con situazioni attendibili, su cui non posso ribattere, realizzando una storia che cammina da sola e che finisce in un certo modo, perché non dovrebbe? (lo dico a coloro che hanno lanciato recensioni negative) e purtroppo non posso citare un esempio che ho “sulla punta della tastiera” perché rovinerei la lettura a molti.

Ma perché leggere Laura Rocca? Il modo speciale e intenso che lei possiede di descrivere la psicologia delle cose e degli eventi è un marchio indelebile che la contraddistingue, compare anche in questo libro e le faccio tanti complimenti perché non sarà stato facile viste le circostanze, le diversità di ceto e di sesso dei personaggi.

La gamma di emozioni che questo libro regala sono molteplici, come l’autrice è capace di fare: ironia, curiosità, angoscia, speranza…
Sin dal principio mi sono chiesta quale calvario avrei dovuto affrontare insieme ai suoi personaggi e quando le cose hanno preso la brutta piega che ci si aspettava le lacrime sono uscite, perché l’amore accade a tutti e tutti ne abbiamo sofferto.

Bella sorpresa è stato sapere che ci saranno altri libri sui personaggi “secondari”. Le aspettative sono alte, su una coppia in particolare, visto che non è stata sviscerata per benino, se poi ci metti che in questi libri ci saranno sicuramente pezzi di scene complementari col primo, mi torna la bavetta.

Grazie per le emozioni che ci regali Laura!

Pubblicato in: Senza categoria

Quasi sette mesi…

Un salutone a chi ha mantenuto la connessione con solo 1 altra riga, nonostante l’enorme assenza da parte sia mia, che di Pier.
La causa? Intuibile per i più scaltri: le app (quelle giuste) e un cellulare figo. Una rovina. Ultimo tormentone: tik tok. Velo pietoso vieni a me.
Il blocco del lettore, ho intravisto che è proprio un caso clinico, ma come sopra specificato non è il mio caso.
Spesso mi sono chiesta se era solo per le app che potevo usare sul cellulare figo (grazie papà per il regalo), oppure la fase nella mia vita in cui facevo (nel tempo libero) quello che ho fatto sino ad ora qui nel blog, fosse semplicemente finita e sarei morta tra le braccia della mia app preferita del momento – voglio comunque dire con orgoglio che le app non mi hanno fritto il cervello fino a trascurare Pier e il mio pet – comunque sia non ho ancora la risposta, ma una cosa la so: non c’è gusto nel leggere senza il fine di scrivere poi una recensione qui sul blog. Tra le varie riflessioni è spuntata anche l’idea di chiudere qui e scrivere le rece solo ed esclusivamente su Amazon, poi mi sono ricordata delle “licenze poetiche” che quest’ultimo si prende e mi son detta che il blog è un porto più sicuro, quindi rientro timidamente in pista, fermo restando che, se volete bene ai vostri Autori, dove SEMPRE lasciare una recensione scritta su Amazon.

Quasi sette mesi di non lettura, tant’è vero che qui a destra era rimasto il libro in lettura (“Educazione Siberiana” che non ho finito), ma che per ora non riprenderò, in favore di una delle mie autrici preferite: Laura Rocca, che non perde mai il suo smalto, un’Autrice che CONSIGLIO SEMPRE e che ringrazio per essere quello che è.
Segui, leggi e conosci Laura Rocca

Ritorno con la Befana e poi beh , ho altre cose da dirvi, con calma, le prossime settimane.
Grazie e buon anno!

Pubblicato in: 2019, Il Club di Aurora, Kindle - letture digitali.

Appuntamento con il club di Aurora

«Se la nostra gente volesse, grazie agli alberi, potrebbe accorciare notevolmente le distanze, ma poi ci si renderebbe conto della tragedia che ci circonda, le persone conoscerebbero la Verità» continua. «Quale Verità?» domando incuriosito «Che il nostro mondo è un mondo chiuso»
In procinto di essere sacrificato al Demone che governa l’Aldisotto, Eridan scopre una verità che porterà con sé: il mondo in cui vivono è un luogo chiuso.
Il suo nome, tra la sua gente, verrà dimenticato. L’amore per la famiglia e per la promessa sposa lo hanno portato a compire un passo falso e a divenire un sacrilego.
Il segreto che il nonno gli rivela, poco prima della cerimonia che lo condannerà a morte, contiene in sé un barlume di speranza: qualcuno di loro, condannato alla sua stessa sorte, è riuscito a salvarsi. Non tutto, quindi, sembra essere perduto.
Nell’Aldisotto, nata da un utero artificiale, Nara muove i primi passi in un ambiente ostile. Gli esseri umani che lo abitano, solo in apparenza, sembrano essere civili.
Quando i due ragazzi si incontreranno, per entrambi si aprirà una nuova consapevolezza. Costretti a fuggire per salvare le loro vite, dovranno misurarsi con forze più grandi di loro, cercare di ripristinare l’equilibrio tra le loro genti e ricordare ciò che, da tempo immemore, è stato dimenticato.
Oblivion è il primo di tre libri autoconclusivi. Pur partendo da una premessa comune, le storie prendono svolte diverse per ricongiungersi in un successivo momento. I protagonisti e gli antagonisti muovendosi all’interno dei loro mondi ci accompagneranno, attraverso salti spazio-temporali, in un multiversum dove tutto sembra già essere stato scritto pur essendo , di volta in volta, nuovo

Riassunto delle puntate precedenti di questa rubrica:
Due cuori a zonzo;
Furens Lupus Sum;
Tiger Indomabilis: (sequel furens lupus sum)
Emeth

 

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Pubblicato in: 2019, Il Club di Aurora

Appuntamento con il club di Aurora

Renèe ha circa venti anni e da otto vive in un orfanotrofio gestito da suore. Nonostante non ricordi il suo passato e di lei non si sappia nulla, conduce una vita normale come tutti i ragazzi della sua età. Finché un terribile incubo non le apre uno scorcio su quello che potrebbe essere stato il suo passato. Da quel momento per Renèe nulla sarà più come prima.
***
«Davvero vuoi uccidere la morte?»
«Tu non sei la morte. La morte non è sofferenza, ma la fine delle sofferenze. Non è sadica, bensì pietosa. Tu sei un mostro e io ti inseguirò fino in capo al mondo. Potrai avere tutti gli schiavi che vuoi, ma io ti combatterò sempre. E ogni volta crescerò di più, i miei poteri si arricchiranno, mentre i tuoi affievoliranno. Guardami bene» gli dico, fissando quelle orribili orbite nere «Perché è il mio volto quello che dovrai ricordare, insieme all’ira di chi mi ha generata» Sgusciando dalla mia stretta, ringhia «Io ho mangiato anche te. La tua carne aveva un buon sapore, così come il tuo ventre»
«Taci» grido.
«Io non ho un volto, ne ho migliaia, sono nascosto in ogni uomo. Entro in lui con il suo consenso, richiamato dalla forza della bramosia che lo possiede e, attraverso di lui, mi nutro e vivo. Molti mi cercano, mi evocano per possedere la mia stessa forza. Non puoi vincere contro di me. Sei solo una palla di fango creata dal piscio e dallo sperma di chi, attraverso di me, ti ha violata.»

Riassunto delle puntate precedenti di questa rubrica:
Due cuori a zonzo;
Furens Lupus Sum;
Tiger Indomabilis: (sequel furens lupus sum)

 

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Pubblicato in: 2019, Duologia, Fantasy, Il Club di Aurora, Kindle - letture digitali., Sociale

Mito eri e mito ritornerai

Oceania, continente del non ritorno.
Molto di più.
Una prigione per il corpo e per la mente di coloro che hanno la sfortuna di venire deportati.
Molto di più.
Una piccola biosfera,
una gigantesca scacchiera in cui ignoti giocatori dispongono strategicamente i loro pezzi,
un’incubatrice di colture letali,
molto di più.
E’ l’antitesi di Roma, dell’ordine supremo, è il caos che domina sulla libertà, la crudeltà sulla pietà.
Per coloro che hanno visto i loro natali nella colonia penale il suo nome è “casa”.
Per tutti gli altri è solo il luogo del non ritorno.
Per noi che ora sappiamo, Oceania è il LORO mattatoio privato.

(Cronache della memoria: libro Unico)

Nella colonia penale di Oceania, Silyen si troverà ad affrontare nuovi nemici e a ritrovare vecchi amici che credeva perduti.
Le condizioni, all’interno del continente sono estremamente precarie: tutti devono combattere per il diritto di sopravvivere.
Nel frattempo, in un villaggio sperduto, Tomas si sveglia e scopre di non avere né memoria né passato e le sue uniche certezze riguardano la conoscenza delle armi. Tuttavia sente di non appartenere a quel mondo ostile.
Quando la sua vita s’intreccerà con quella di Silyen, le cose cambieranno per entrambi.
Anche se i veri nemici non sono solo quelli che quotidianamente devono affrontare, poiché, nell’ombra, qualcuno sta tramando a loro insaputa, intrecciando e tessendo il destino dell’umanità.
In questo secondo e conclusivo libro della saga, ogni mistero verrà svelato, ogni inganno portato alla luce per scoprire che il caso non esiste.

Riassunto delle puntate precedenti di questa rubrica:
Due cuori a zonzo;
Furens Lupus Sum;

Mentre nel primo libro avevamo una storia incentrata su Silyen e Lucio, in questo libro abbiamo invece l’obiettivo sul pianeta, o meglio, in verità l’obiettivo è su tutti noi, ben nascosto, che ci osserva. Ci valuta e ci analizza. Il grande Fratello, o Matrix, o addirittura Dio in persona. In ogni caso, in questo romanzo, la verità lascia con molto amaro in bocca e non sono del tutto sicura che ci sia un lieto fine.

In questo secondo volume tutti i nodi vengono al pettine, potremo godere di molti POV (punti di vista). L’esistenza in Oceania è molto strana, ma soprattutto violenta e spietata; vi sono moltissime situazioni che non tornano, ma soprattutto c’è qualcosa che non va nel territorio.

Piano piano saremo messi al corrente anche noi, anche se non ci farà per nulla piacere.

Divide et impera…Direi più che eloquente per trarre le proprie conclusioni.

Ad un certo punto ho visto chiaramente la globalità della storia come il grande cerchio della vita, gli scherzi di Madre Natura e i suoi stratagemmi per trionfare sempre sulla vita. Mi è molto piaciuto questo concetto.

Inoltre in questo romanzo Silyen perde definitivamente la sua innocenza e diventa adulta a pieno titolo.
Cerco di dare una definizione a questo libro conclusivo, ma per i suoi contenuti, mi è rimasta molta malinconia.

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Alcune domande all’Autrice Aurora Stella.

– Pensi che la storia di Silyen e Lucio possa dare ancora qualcosa ai lettori? Hai ancora qualcosa da raccontare su di loro? (o altri personaggi della duologia)

All’inizio avevo strutturato i libri per essere una trilogia e , in effetti, ho lasciato il finale aperto di proposito. Avrei voluto fare un capitolo sulla colonia di Marte, in lotta per la propria definitiva indipendenza dalla Terra . Poi però ho preferito lasciare così.

– Ho notato che il secondo volume è diverso dal primo, più fagocitato, più angosciante. A te i volumi fanno lo stesso effetto?

ll secondo volume rivela il lato oscuro e volevo che fosse angosciante. Nel primo libro, tutto sommato, si ha solo una vaga percezione di quella che potrebbe essere la realtà, ma tutto sommato i benefici superano i problemi: nessuno ha la percezione di essere uno schiavo. Comunque sono felici: vengono istradati fin da bambini a fare esattamente il lavoro che sono predisposti a fare, non ci sono più crimini, niente guerre o malattie. nessuna povertà. Ma cosa permette il mantenimento di una simile società? Oceania è un laboratorio, un “mattatoio privato” in cui sperimentare in piccolo qualcosa da riportare poi nel mondo. E , puri di mantenere il controllo i “cervelloni” non esitano a servirsi di qualsiasi escamotage. Ma la natura ha un suo ordine e non è possibile ingabbiarla e piegarla alla propria volontà. Come faccio dire anche a Lucio, se l’uomo deve finire , che finisca…

– Potresti condividere con noi qualche novità succosa sulla tua attività di Scrittrice?

sono un’autrice che ama sperimentare. Amo più o meno tutti i generi e mi diverte scrivere. Il problema è che scrivo tonnellate di cose e non ho il tempo , poi, di correre dietro a tutti i progetti che inizio. Sto scrivendo un a saga fantasy che finirò l’anno del mai anche perché, trattandosi di libri correlati ma non veri e propri sequel, devo scriverli contemporaneamente. poi mi sono impicciata il cervello con un’altra saga fantascientifica ambientata in una serie di universi paralleli. L’ho iniziata con Oblivion e anche quella prima o poi la terminerò. E poi narrativa, umoristici un altro horror, un drammatico e un fantascientifico puro. Lo so che sembro psicopatica, ma se mi viene un’idea non resisto e devo buttarla giù.

Pubblicato in: AudioPier

Omaggio a Gabriele La Porta

Direttamente da Sonore Letture, Pier da voce ai pensieri dell’editore PierLucaPierini, che racconta alcuni aneddoti con il compianto Gabriele La Porta.

Questo video, montato da Eugenio Barraco, co-Amministratore della rivista Ereticamente è dedicato alla memoria del giornalista televisivo RAI recentemente scomparso: Gabriele La Porta, molto conosciuto per le sue trasmissioni culturali in tematiche folkloriche, storiche ed esoteriche.

 

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